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Marcello Gallucci

Marcello Gallucci
Marcello Gallucci è aquilano, ma nemmeno troppo convinto; ostinato, ma con sufficiente moderazione; arrabbiato, come un fan tardivo di John Osborne, eppure ancora fondamentalmente innamorato degli orizzonti aperti del teatro: quello che resiste, quello che non si lascia divorare dal sistema dello spettacolo, quello ancora in grado di cambiare la vicenda individuale e collettiva degli attori e degli spettatori. Quello che forma l’esperienza. Ha scritto a lungo di Artaud, di Kierkegaard, ultimamente di Eleonora Duse, convinto che questi studi si compongano in un disegno unitario che racconta il teatro del Novecento, le sue origini e il suo lascito. Un lungo, intenso sodalizio con Jurij P. Ljubimov lo ha ulteriormente rinsaldato nella convinzione che la regia sia, sostanzialmente, veicolo per l’utopia. Ha insegnato e insegna Storia dello Spettacolo e Letteratura e Filosofia del Teatro prima nella sua città e, ora, all’Accademia di Belle Arti di Roma. Occasionalmente si è fatto tentare dalla drammaturgia. È orgoglioso di essere consulente del Teatro Ridotto di Bologna. Fa di tutto per somigliare ad Orson Welles. Come lui, è un abile parolaio e un millantatore. Aspira ad essere un eccellente Dottor Balanzone, in perenne combutta con Arlecchino. Indovinate quale? Tra le sue ultime pubblicazioni figurano l’edizione italiana dei Messaggi Rivoluzionari di Antonin Artaud e Eleanora. Come Chaplin ricreò la Duse. Rêverie su un mazzo di fiori (Jaca Book, Milano, 2021 e 2024).